L’uomo seduto in terza fila

L’aereo volava dritto in direzione della luna, con il suo carico. L’uomo seduto in terza fila, con i suoi pesanti pensieri, guardava fuori dal finestrino, fissando nel buio il suo riflesso sulle ali. Pensava alla carta di credito esaurita, alla mappa chiusa a chiave con il lucchetto nella cassetta di sicurezza, a ciò che avevo visto guardando dal buco della serratura nella casa in cui era ospite, a quella donna che aveva l’aspetto squamoso di una tartaruga, che parlava quella strana lingua fatta più di silenzi che di parole. Si chiedeva se aveva fatto bene ad andarsene, o se forse sarebbe stato meglio proseguire così la propria vita, in quella realtà molto più fantastica e molto meno monotona di quella a cui stava facendo ritorno.

L’ultimo inverno

C’era un campo di fragole selvatiche enorme, in cima alla collina. Una radura che si vedeva benissimo, restando tra le foglie dei cespugli, al riparo. Il cielo era pieno di nuvole e il venticello che soffiava lieve non disturbava più di tanto le farfalle. Il topo però già pensava alla neve e al freddo che sarebbe arrivato da lì a qualche mese. Sapeva che quello in arrivo sarebbe stato il suo ultimo inverno e si voleva godere fino in fondo quello scampolo di estate. Voleva riempirsi gli occhi con tutti quei colori, prima che arrivasse il grigio, il freddo e la fine. Così, se ne stava immobile, all’ombra del cespuglio, e guardava il verde delle foglie, il rosso delle fragole, il giallo delle farfalle, e il blu del cielo che ogni tanto si intravedeva dietro il bianco delle nuvole.

Maghi burloni

Fortunatamente, il fuoco al centro della tenda scaldava abbastanza quello sprovveduto di Fausto, che fino ad allora non aveva creduto alla magia e si era fidato dei due esseri mascherati che lo avevano convinto ad entrare nella torre a luci spente, per mostrargli che la magia esiste. Si era portato la torcia, ma i due lo avevano pregato di non usarla altrimenti la magia non sarebbe riuscita. Fausto, pur claudicante, appoggiandosi al bastone, gli aveva dato retta, e in un lampo si era trovato dentro alla tenda indiana, non sapeva come avevano fatto, ma di sicuro non se lo aspettava. Un attimo prima di svanire, i due gli dissero: “troverai un dado, avrai un solo tiro, tornerai indietro solo se uscirà il sei”. Poi svanirono, ridendo sguaiatamente. Fausto era seduto nella tenda, aveva trovato il dado, ma il timore di restare lì nel caso non fosse uscito il sei, gli impediva addirittura di osservarlo bene, figuriamoci di tirarlo. Fuori dalla tenda, non sapeva cosa ci fosse, né in che tempo fosse, l’unica cosa certa era il freddo. Prese coraggio e osservò il dado. Quei due burloni avevano soltanto voluto farlo spaventare: tutte le facce portavano sei puntini. Fece un sospiro di sollievo, mentre gli pareva di sentirli ancora ridere sguaiatamente.

10 e 30 del mattino

Erano le 10:30 del mattino, troppo tardi per un cappuccino e troppo presto per un aperitivo. In lontananza stavano arrivando le nubi che avrebbero finalmente portato la pioggia. L’esplosione fu così potente che al bambino seduto sulla panchina cadde il gelato e si mise a piangere per lo spavento. Danni apparenti non ne vidi intorno a me. Guardai di nuovo verso le nubi. Sotto di esse, poco sospesi da terra, ora si vedevano degli oggetti che sembravano sferici, globi luminosi arancioni. Forse erano droni. Ebbi in quel momento la certezza che le nubi non avrebbero portato soltanto la pioggia.

Il santuario dei gol

“Una balena!” Gridò Pino, detto Abete. Era dalle elementari che lo chiamavamo Abete, ma anche se se l’era presa parecchio, non avevamo mai smesso. Comunque, una balena nel santuario dei cetacei era più che normale. La barca ondeggiava parecchio e la banana che avevo mangiato saliva e scendeva, ondeggiava nello stomaco. Finalmente raggiungemmo la terraferma. Al chiosco della spiaggia ordinai una tisana, mi guardarono tutti sbalorditi e mi presero in giro per un paio d’ore. L’ilarità gli passò durante la partita a pallone del pomeriggio: segnai 8 gol, e tutti muti. Per come stavo dopo pranzo, fu una bella soddisfazione.

Piña Colada

L’automobile correva veloce mentre Alida, seduta al posto del passeggero, ubriaca come sempre, dal finestrino guardava il cielo coperto di nubi. Probabilmente di lì a poco si sarebbe messo a piovere. “Una banana!” esclamò. “Dove?” chiesi io “e dove vuoi che sia, in cielo?” rispose, ridendo. Comunque, guardai fuori, ma di banane volanti non se ne vedevano, solo stormi di uccelli neri, forse corvi. “Fermati!” gridò “Mi viene da vomitare!” bloccai la macchina poco dopo un semaforo. Alida scese e vomitò le tre Piña Colada che si era bevuta per merenda. Decisi che ne avevo abbastanza e ripartii lasciandola lì. Fu l’ultima volta che la vidi.