Le città deserte. 1.

Per poter dire di conoscere la città di Sapia, l’uomo che la visita deve sostarvi almeno per un giorno e una notte, passeggiando per le sue vie e per le sue piazze senza dormire. Vedrà così due città che appaiono uguali ma che in realtà sono diverse: una deserta di giorno e una deserta di notte. Solo nell’ora dell’alba e in quella del crepuscolo, se camminerà per le sue strade, incontrerà i suoi abitanti. Li vedrà uscire dalle loro dimore con l’aurora e rientrarvi al tramonto. Li guarderà salire su treni, carrozze, dirigibili al far del giorno e scendervi in ora tarda. L’inutile Sapia è sempre vuota: quando il sole splende, i suoi abitanti sono svegli ma altrove, lontani; quando brilla la luna, sono presenti ma dormono chiusi nelle loro case.

Le città deserte. 2.

Della città di Beldie, posta nelle regioni più fredde del grande continente, si sa soltanto ciò che la tradizione orale ha portato fino a noi, dai racconti dei pronipoti degli antichi abitanti. Si narra che gli antichi costruirono la loro città su di una collina, e che al termine della costruzione la collina stessa iniziò a scaldarsi. Gli abitanti decisero di dedicare un tempio all’antica divinità Sothoth per ringraziarla dell’inattesa mitezza del clima. La collina allora si scaldò ancora di più e l’aria divenne sulfurea. Gli abitanti decisero perciò di demolire il tempio di Sothoth e ne costruirono uno per Chione. Ma la terra continuava a scaldarsi e l’aria, oltre a puzzare di zolfo, divenne giallastra. Iniziarono perciò a pregare tutte le divinità conosciute, ma la collina si scaldò così tanto che il terreno scottava, sotto i loro piedi. Si salvarono soltanto coloro che smisero per tempo di pregare le divinità e si allontanarono. La città esiste ancora, ma nessuno può visitarla.

Le città deserte. 3.

Viaggiando prima per i deserti e dopo per i mari, da dove spira il vento di Scirocco verso il Maestrale, per la lunghezza del tempo di due lune, il viandante troverà Tessa con i suoi palazzi medievali e le sue tende arabe. Vedrà moschee d’oriente e castelli d’occidente, donne che parlano mille dialetti e uomini che li comprendono tutti senza fatica. Nessuno di quei dialetti è nato a Tessa, così come nessuno dei suoi abitanti. Provengono dai quattro punti cardinali e da ciascuna delle tre dimensioni: dal cielo e dal sottosuolo, dalle montagne e dalle pianure, dai fiumi, dai laghi e dal mare. Quando arrivano a Tessa, alcuni hanno unghie per scavare, altri pinne per nuotare, altri ancora ali per volare. Vivono a Tessa per il tempo necessario a perdere le unghie, le pinne, le ali e diventare abitanti di Tessa. Le donne cercano un compagno che non parli il loro dialetto d’origine, la stessa cosa fanno gli uomini. Quando si trovano, lasciano Tessa per salire insieme verso settentrione. A Tessa rimangono coloro che aspettano altri nuovi abitanti. Tra di essi, cercheranno chi non parla il loro dialetto nativo per poter lasciare la città. Nel frattempo, costruiscono palazzi arabi, tende medievali e castelli con minareti. Nulla si sa dei primi abitanti di Tessa, alcuni dicono che siano ancora lì ad aspettare. Altri dicono che non siano mai esistiti.

Le città deserte. 4.

Il viaggiatore che, attraversando il deserto, giungerà per la prima volta all’oasi di Romilda, in un giorno di sole, resterà sicuramente abbagliato dal suo riverbero. I suoi palazzi sono fatti di specchi, cristalli e vetri. Di notte, ciascuno di essi riflette una costellazione diversa. Ma la cosa che più colpisce chi visita Romilda, sono i suoni. Si sente il soffio del vento, il cinguettio dei parrocchetti, il mormorio dell’acqua, ma non si sente alcuna voce. Di giorno, l’uomo che la visita vedrà mille e mille volte il suo riflesso in tutti gli specchi ed in tutti i cristalli di tutti i palazzi, ma non incontrerà mai nessuno dei suoi abitanti. A Romilda non abita nessuno. Se ne sta lì, nell’oasi in mezzo al deserto, ad ingannare i cammellieri con la sua bellezza, come un miraggio. Ma Romilda è vuota, come il deserto che la circonda.

Le città deserte. 5.

Quando giunsi sulla costa ad oriente, in cerca della città di Imelda, nel punto esatto indicato da un’antica mappa, c’era il mare. Ai pescatori sulla riva, domandai dove fosse la città di Imelda. – il mare l’ha inghiottita – mi dissero piangendo. Mi fecero salire sulla loro barca e navigammo su Imelda la bella. Dove prima c’era il cielo di Imelda, ora si trova la superficie del mare, le onde stanno al posto delle nuvole. Nessun uomo siede alle sue locande, nessuna donna dalle sue finestre richiama i figli all’imbrunire. Tutti i suoi vecchi abitanti sono altrove. Imelda resterà per sempre sul fondo del mare. Ora, come se fosse un relitto, solo il popolo di Nettuno, silenziosamente, la abita.